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L'ARCHETIPO DELLA PAPESSA da "Gli Arcani della vita" di Widmann.

La grande sacerdotessa


È sorprendente la disinvoltura con cui le narrazioni archetipiche raccontano accadimenti interiori come se fossero avvenuti all’esterno e vicende dell’anima come si trattasse di eventi storici.


È contemporaneamente stupefacente l’aderenza di queste narrazioni, storicamente infondate o smaccatamente false, alla verità psicologica e alla realtà dell’anima. Così, ricostruzioni pseudo-storiche che nulla hanno di storico narrano interessanti leggende intorno alla preistoria della psiche, alla nascita delle immagini simboliche, alle origini della coscienza.


Un nucleo di leggende a sfondo mitologico parla di tempi anteriori a quello della nostra umanità e ha per protagonisti i popoli proto-umani dei Boeri e degli Africani (Saunier, ed. it. 1983).


Fra Boeri e Africani vi furono scontri estenuanti e terribili. Disordinati e indisciplinati, i Boeri avevano l’assetto dell’orda che si abbatte con caotico furore, ma conobbero, forse per primi, i limiti della forza cieca e del disordine pulsionale: nonostante la loro bellicosa combattività, dovettero soccombere alla supremazia degli Africani.


Perdendo di potere e di benessere, cominciarono anche a essere abbandonati dalle loro stesse donne, che volentieri si lasciavano sedurre dai gioielli dei Neri. Sconfitti dai nemici e traditi dalle donne, ripiegarono in foreste impenetrabili, per un tempo enorme covarono un sotterraneo desiderio di rivincita e prepararono la riscossa forgiando armi, allenandosi alla guerra e, soprattutto, imparando la legge della disciplina interiore.


La comunità di Boeri doveva essere un subbuglio di continue ostilità, un brulicare di focolai di rivalità. Un giorno che due uomini in perenne antagonismo stavano per battersi, avvenne un fatto nuovo, che consolidò le loro compagini e rinforzo singolarmente il loro coraggio. Le donne li avevano perduti, una donna li salvò: una di coloro che erano rimaste sorse fra di loro e gridò:


Io sento la voce del grande Antenato, che dice: non

combattete fra di voi, correte contro il nemico come

fratelli. Io so dove è nascosto, seguitemi!


Infiammandoli con queste parole, ella li condusse alla vittoria.


Da quel giorno i trionfi si succedettero ai trionfi. Altre donne, imitando la prima, sorsero a orientare la disordinata combattività dei maschi e i Boeri si confermarono nell’idea che le donne fossero esseri ispirati e che fosse saggio seguirne gli avvisi. Accordarono loro una certa autorità, le chiamarono nei consigli di guerra e attribuirono valore sempre maggiore alle loro indicazioni.


Da ciò - sostiene la leggenda -ebbero origine le Druidesse e il simbolo universale della Donna Salvatrice e vittoriosa, che schiaccia col piede il Dragone del Sud. La sua immagine si contrappose a quella precedente della Donna Traditrice e persa, “prona alle seduzioni del Serpente, mostro maledetto”.


Di notte le Druidesse salivano su alte rocce e su massi di pietra eretti per dare testimonianza delle vittorie. Cercavano il chiaro di luna, poiché avevano notato che la sua luce misteriosa, che riempiva d’una strana chiarezza le ombre della Foresta, era la condizione più favorevole alla loro esaltazione di visionarie.


Al chiaro di luna evocavano gli Antenati e incitavano i vivi al valore, magnetizzando con i loro occhi di lupe coloro che erano accovacciati nel crepuscolo strano dell’ora notturna. Nella penombra argentata del plenilunio le Druidesse apparivano ingigantite; le loro capigliature bionde, carezzate dalla Luna sembravano avvolgerle in una mandorla luminescente.


I Boeri ascoltavano incantati le loro indicazioni, venivano infervorati dalle loro parole e proclamavano esaltati di cacciare lo Spirito del Sud che profanava la Sacra Foresta. Come penetrati anch’essi da delirio visionario, credevano di sentire il cuore infiammato dal grande Soffio, che passava fra gli alberi addormentati nel chiarore lunare, facendoli fremere e vibrare.


L’autorità delle Druidesse andava aumentando di giorno in giorno. Le donne fondarono il culto della Luna e si dichiararono sacerdotesse dell’astro notturno, che dicevano essere l’ispiratore delle visioni. Per conservare e accrescere il loro potere, si fecero sempre più accanite nell’incitare alla guerra contro i Neri e sempre più spietate contro i nemici; quelli che venivano catturati, erano immolati sopra le “pietre della testimonianza”. La vecchia Foresta tremò d’angoscia e rimbombò delle grida feroci di donne ciniche che, nude, al chiarore della Luna, decimavano le schiere dei maschi.


…Il loro furore s’accrebbe; l’ebbrezza del potere le

accecò; e questa loro follia di dominazione sparse fra

i Boeri le tenebre del disordine (Saunier, ed. it. 1983,

pp. 91 sgg.).


Le Druidesse della leggenda sono un’immagine esemplare, ma trasfigurata, della Grande Sacerdotessa documentata dall’antropologia. In origine, dèi e dee avevano tendenzialmente ministri del loro sesso (sacerdoti per gli dèi e sacerdotesse per le dee), ma la figura del sacerdote fu spesso prevalente perché fusa con quella del capo e re.


Quanto potere secolare e potere spirituale si divaricarono, il sacerdote divenne rex sacrorum, re delle cose sacre e fu ancora l’uomo a conservare il potere e la dignità del re. Sono note sacerdotesse di grande rilevanza come le vergini Hierodules consacrate allo Zeus Tebano o la mitica sacerdotessa del dio Toth, moglie del faraone Kepfren; tuttavia, le sacerdotesse della storia non ebbero di norma le caratteristiche che le Druidesse assumono nella leggenda.


La Grande sacerdotessa fu spesso una figura di mediazione più che l’ispiratrice in proprio di un progetto evolutivo; la Pizia di Delfi o la sacerdotessa di Eleusi erano portavoci di un dio maschile più che una voce femminile autonoma. La Druidessa di Saunier, come la Gran Sacerdotessa che compare nella seconda lama dei tarocchi non è la riproduzione di una figura storica, ma la trasfigurazione di un’immagine fantasmatica. È un’immagine archetipica.

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